Può un termostato spiegare la politica?
Ogni svolta politica genera una risposta contraria: il modello termostatico spiega perché l’elettorato regola il potere come fosse la temperatura
Quando la politica si fa troppo calda, gli americani abbassano il termostato. E quando si raffredda troppo, lo rialzano. È questo, in estrema sintesi, il principio alla base del modello termostatico, una teoria sviluppata da Christopher Wlezien che poi l’ha approfondita ulteriormente con Stuart Soroka. Secondo questo approccio, l’opinione pubblica funziona come un regolatore automatico delle politiche: ogni spinta eccessiva in una direzione produce una reazione contraria.
Il modello termostatico si basa su un ciclo a quattro fasi: il governo mette in atto delle politiche, l’opinione pubblica ne percepisce l’impatto, se la misura è vista come “eccessiva” l’elettorato reagisce spostandosi verso il partito di opposizione e questa pressione si traduce in nuove scelte elettorali o mobilitazioni politiche, correggendo la rotta del governo.
Se la stanza si scalda troppo — come per una spinta riformista su ambiente, welfare o immigrazione — l’elettorato tende a “raffreddare” il sistema, scegliendo candidati più moderati o conservatori. E viceversa quando la temperatura scende troppo. Ci sono una serie di classiche reazioni termostatiche nella storia americana. Negli anni ’90, Bill Clinton virò verso il centrismo della “Terza Via”, per poi lasciare spazio all’onda neocon di George W. Bush. Dopo il ciclo progressista di Barack Obama e la spinta del Tea Party, Donald Trump ha incarnato la reazione conservatrice.
L’intensità del feedback dipende da quanto un tema tocca la vita quotidiana: sanità o tasse portano a risposte più immediate di questioni etiche o diplomatiche. La crescente polarizzazione, inoltre, ha irrigidito le preferenze degli americani: molti elettori non reagiscono più in modo fluido ai cambiamenti politici. Anche i social media, il ciclo di notizie continuo e la frammentazione dell’informazione contribuiscono a questa cristallizzazione. A reagire ora sono solo gli elettori più centristi e moderati.
Anche se è presto per dirlo, è possibile che già in questi giorni si stia assistendo a una reazione “termostatica” nei confronti di Donald Trump. La sua popolarità sta infatti scendendo e parte di questo calo è proprio attribuibile agli elettori più moderati, dove Trump ha un tasso di approvazione netta negativo di 15 punti. Il presidente americano ha infatti vinto le elezioni in gran parte grazie a economia e immigrazione riuscendo a parlare a un elettorato scettico dell’amministrazione Biden, ma in questi due mesi la maggioranza dei provvedimenti serviva a parlare alla base conservatrice.
Il modello termostatico non è comunque esente da critiche. Innanzitutto, presuppone un elettorato informato e razionale, capace di valutare l’impatto delle politiche pubbliche. Ma la realtà è più complessa: molti cittadini, in particolar modo negli Stati Uniti, sanno già chi votare e non valutano alternative. Inoltre, l’opinione pubblica non è un blocco unitario: le reazioni variano tra giovani e anziani, città e campagne, benestanti e poveri. In secondo luogo, eventi imprevisti — una crisi economica, una pandemia o uno scandalo — possono sovrascrivere la logica termostatica. La guerra in Ucraina o l’inflazione, ad esempio, hanno riorientato il dibattito negli ultimi anni, marginalizzando temi prima centrali.
Si tratta poi di un modello non applicabile con semplicità ovunque. Negli Stati Uniti infatti gli elettori possono dare dei feedback molto spesso grazie al fatto che per la Camera dei Rappresentanti si vota ogni due anni e per la presidenza ogni quattro. Inoltre, prima delle elezioni si tengono le primarie con cui gli elettori dei due partiti possono già spingere in una direzione o nell’altra i propri rappresentanti. Un elettore americano ha molte più possibilità di, ad esempio, uno italiano di reagire e muovere la politica in una direzione o nell’altra.
In un sistema come quello americano dove si vota spesso e l’alternanza di potere è la norma, l’opinione pubblica ha strumenti per farsi sentire. Ogni spinta eccessiva prepara già il terreno per la sua correzione.
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