Chi sono davvero i poveri in Italia
A essere poveri sono giovani, famiglie numerose e chi ha contratti instabili
In Italia l'8,4 per cento delle famiglie si trova in una situazione di povertà assoluta e il 10,6 in una di povertà relativa. Con povertà assoluta intendiamo chi non ha un livello di spesa sufficiente ad acquistare un insieme di beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile e la soglia cambia a seconda della dimensione della famiglia, all'età e all'area geografica. La povertà relativa invece misura la condizione di chi ha una spesa per consumi significativamente inferiore a quella della media della popolazione ed è quindi una misura relativa, legata alla posizione della famiglia rispetto al livello medio di vita della società in cui vive.
In questo articolo ci concentreremo sulla povertà assoluta. È importante considerare che le soglie sono diverse. Ad esempio, secondo i dati Istat, una famiglia di due adulti under 30 con un bambino sotto i tre anni che vive in un'area metropolitana della Lombardia ha una soglia di povertà assoluta di 1.765 euro, mentre per la stessa famiglia in un piccolo comune della Basilicata la soglia è di 1.146 euro.
Quali sono le famiglie povere
La povertà in Italia si concentra tra le famiglie giovani. Nelle famiglie tra i 18 e i 34 anni la povertà è dell'11,7 per cento, un dato molto simile a quelle tra i 35 e i 44 anni che però poi scende progressivamente con il crescere dell'età. Tra i 45 e i 54 anni è povero il 9,7 per cento delle famiglie, tra i 55 e i 64 anni il 7,7 per cento e sopra i 65 anni il 6,3 per cento.
A incidere moltissimo sulla povertà è l'ampiezza della famiglia. Tra le famiglie con una sola persona la povertà assoluta è del 7,7 per cento, in quelle con due persone del 6,1 per cento e in quelle con tre persone dell'8,2 per cento. Passa però all'11,9 per cento con quattro persone e al 20,1 per cento in quelle con cinque o più componenti. Tra le famiglie con solo italiani il tasso di povertà è del 6,2 per cento, in quelle di soli stranieri del 35 per cento.
Rispetto a dieci anni fa, vediamo che l'incidenza della povertà assoluta è salita di 2,2 punti percentuali (dal 6,2 all'8,4) per cento, ma che l'aumento si concentra in particolar modo tra i 35 e 44 anni (+4,1) e tra i 45 e 54 anni (+3,5), mentre gli over 65 sono quelli che l'hanno patito di meno (+1 punto) e sotto i 34 anni l'aumento è stato di 2,1 punti.
L'aumento della povertà è avvenuto in particolar modo negli ultimi quattro anni tra la pandemia di Covid-19 e il periodo inflazionistico. L'aumento dei prezzi colpisce infatti generalmente le persone più povere che hanno meno possibilità di avere aumenti di reddito che compensino la perdita di potere d'acquisto.
Chi sono le persone povere
Guardando la condizione lavorativa, vediamo che tra gli occupati è in povertà l'8,1 per cento, mentre tra i non occupati l'8,8 per cento. Tra gli occupati, si trova in una situazione di povertà il 16,5 per cento degli operai e il 2,8 per cento di impiegati o quadri, mentre tra i liberi professionisti è l'1,7 per cento e tra gli altri indipendenti il 6,8 per cento.
Tra i disoccupati, il 20,7 per cento si trova in una situazione di povertà assoluta, mentre tra gli inattivi il dato scende all'8,1 per cento. Tra i pensionati la povertà è al 5,7 per cento, mentre tra gli altri inattivi (studenti, casalinghe, persone non in cerca di lavoro) sale al 15 per cento.
Come si spiega la povertà tra gli occupati? Un’analisi INPS di due anni si era concentrata sull’analizzare i lavoratori che guadagnano meno del 60 per cento della retribuzione mediana: sotto i 1.116 euro netti al mese per un full time o i 588 euro per un part time. All’epoca erano circa 870 mila persone, il 6,3 per cento dei dipendenti privati. La maggioranza erano part time, oltre mezzo milione o il 13 per cento dei lavoratori a tempo parziale, mentre i full time poveri erano circa 350 mila (3,6 per cento), concentrati in contratti intermittenti, apprendistati o rapporti discontinui. Il fenomeno è importante soprattutto al Sud e colpisce più spesso le donne, intrappolate in part time involontari o contratti a termine. L’analisi dell’Inps mostrava che non era tanto un problema di salari bassi (riguarda una minoranza dei full time poveri), ma di poche ore lavorate, discontinuità e contratti fragili.
Uscire dalla povertà non è semplice
Come avevamo già visto, in Italia la probabilità di restare poveri se si è cresciuti in una famiglia povera è tra le più alte in Europa. Più alta che in Francia, Germania e Austria, e persino che in alcuni Paesi dell’Est come Polonia e Slovenia. Chi cresce in una famiglia povera ha infatti minori possibilità di accedere a una buona istruzione, è più esposto all’abbandono scolastico, ha aspettative più basse, reti sociali più deboli e spesso meno accesso a informazioni, risorse e opportunità nel mercato del lavoro. Il punto di partenza influisce sulle tappe successive.
Uno studio delle ricercatrici Elena Giarda e Gloria Moroni pubblicato su Social Indicators Research ha analizzato la persistenza della povertà. Usando i dati raccolti da Eurostat, si vede come in Italia chi entra in povertà ha scarse probabilità di uscirne: solo il 31,5 per cento dei poveri riesce a uscirne nell’anno successivo, mentre il 68,5 per cento rimane povero da un anno all’altro. Il confronto internazionale mostra forti differenze: in Francia il tasso di uscita è del 38,2 per cento, in Spagna del 33,5 per cento, mentre nel Regno Unito raggiunge il 50,2 per cento.
Le ricercatrici calcolano inoltre il grado di state dependence, cioè quanto l’essere poveri in un anno aumenta la probabilità di esserlo anche in quello successivo, al netto delle caratteristiche individuali. In Italia questo effetto è stimato in più 15,9 punti percentuali, contro l’11 in Francia, il 12,6 in Spagna e appena il 4,5 nel Regno Unito. La povertà in Italia tende a trasformarsi più facilmente in una trappola, da cui è difficile liberarsi.
Un altro dato significativo riguarda la povertà persistente (persone povere in almeno tre anni su quattro): in Italia riguarda il 9,7 per cento della popolazione, un valore più alto che in Francia (6 per cento) e nel Regno Unito (6,7 per cento), anche se inferiore alla Spagna (15,4 per cento).
Il quadro che emerge è quello di una povertà che in Italia non è transitoria, ma tende a cronicizzarsi, sostenuta da fattori individuali (basso livello di istruzione, disoccupazione, famiglie monoreddito) e da fattori strutturali come il dualismo Nord-Sud.
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