La democrazia italiana è rotta?
Gli italiani votano sempre meno, si disinteressano alla politica e non credono di poter avere influenza su cosa succedere
La politica ci interessa sempre di meno. Ormai a ogni elezione si registra un calo dell'affluenza e un aumento della disaffezione. Alle elezioni politiche del 2022 ha votato il 63,9 per cento degli elettori e alle europee del 2024 il 49,7 per cento. A molte elezioni regionali i votanti sono meno del 50 per cento e al momento solo le elezioni comunali continuano ad avere un'affluenza più alta.
Si potrebbe pensare che questo calo di interesse riguardi tutti, ma invece non è così. Se guardiamo gli altri quattro grandi paesi europei, vediamo che il calo continuo e così marcato della partecipazione elettorale è un problema italiano. Le ultime quattro elezioni in Germania hanno visto un continuo aumento della partecipazione fino ad arrivare all'83 per cento di affluenza quest'anno. La Spagna dopo un calo si è stabilizzata tra il 67 e il 70 per cento di affluenza e la Francia ha un andamento di calo, ma non così marcato. Nel Regno Unito c'è stato un calo dell'affluenza alle ultime due elezioni, ma tra 2001 e 2015 l'affluenza è stata in crescita.
Ma non è solo che non votiamo, ma proprio che la politica ci interessa meno che in passato. Ad aver ascoltato almeno un dibattito politico in televisione in un anno nel 2001 era il 23,1 per cento della popolazione, nel 2023 l'11,1 per cento. In dodici mesi il 90 per cento degli italiani non ha mai sentito un dibattito tra politici. Meno del 3 per cento ha partecipato a un corteo o a un comizio.
A discutere di politica tutti i giorni, tra chi ha almeno 14 anni, è solo il 6,1 per cento degli italiani, mentre ne parla almeno una volta a settimana il 24,6 per cento. Il 36 per cento degli italiani non parla mai di politica e il restante lo fa qualche volta al mese o all'anno. A parlare di politica sono rimasti solo gli anziani.
La sfiducia degli italiani nei confronti della politica emerge chiaramente dai dati dello European Social Survey. Il livello di soddisfazione per il funzionamento della democrazia in Italia si attesta su 4,9 punti su 10, mentre la fiducia nei politici scende a 3,3. Il parlamento nazionale ottiene 4,3 e quello europeo 4,5.
Questi numeri riflettono un problema più profondo: la percezione di non poter influenzare le decisioni politiche. Alla domanda su quanto i cittadini ritengano di poter incidere sul sistema politico, il punteggio medio è di 1,8 su 5. Un valore simile emerge quando si chiede della possibilità di influenzare l'operato del governo. La fiducia nella propria capacità di partecipare alla vita politica si ferma a 2 su 5, mentre la possibilità percepita di avere un ruolo attivo in un gruppo politico raggiunge appena 1,9. I dati mostrano come gli italiani si sentano sostanzialmente esclusi dai processi decisionali che dovrebbero coinvolgerli come cittadini di una democrazia.
Il contesto economico e demografico del paese contribuisce a questa disaffezione. L'Italia è in un percorso di declino: la popolazione diminuisce, ci si fida poco degli altri, la crescita economica è ferma e i salari reali sono fermi o in diminuzione. Per molti italiani, soprattutto tra le generazioni più giovani, il tenore di vita percepito è minore rispetto a quello dei propri genitori. Questa situazione alimenta la percezione che, indipendentemente dal colore politico dei governi che si alternano, le condizioni materiali non migliorino.
Il risultato è un meccanismo che si autoalimenta. I cittadini partecipano meno perché non credono di poter incidere sulle decisioni; la politica, rivolgendosi a una base sempre più ristretta di persone, finisce per rappresentare una porzione limitata della società. In questo contesto, l'astensione e il disinteresse non sono semplice indifferenza, ma rappresentano una forma di distacco da istituzioni percepite come inefficaci.
Ovviamente i motivi della disaffezione al voto sono molti, specie in Italia dove si tende in ogni cosa a passare da un eccesso all’altro.
Ma personalmente sono convinto che una delle cause principali risieda nel sistema elettorale, che oggi come oggi non permette all’elettore di influenzare in maniera determinante la vita politica, per due motivi principali:
1- per l’art. 67 della Costituzione ogni eletto non e’ soggetto a vincolo di mandato.
Questa norma,anche se ineccepibile dal punto di vista teorico, nella pratica consente ad una persona,eletta col mio voto nel partito che ho scelto, di cambiare schieramento.
Le ragioni possono anche essere nobilissime ( meglio sorvolare) ma di fatto io, suo elettore, sono stato da lui truffato. ( Voglio ricordare che nella passata legislatura oltre il 35% dei deputati hanno cambiato schieramento).
2- Come può l’elettore pensare col suo voto di influire sulla vita politica quando ( sempre al di la’ della pura teoria) non può scegliere in una lista elettorale le persone a lui gradite?
A parte che con la legge elettorale oggi vigente le preferenze addirittura non esistono, anche quando erano presenti il sistema di porre in cima alla lista i soliti noti non consentiva alcun vero ricambio.
Per chi ama davvero la democrazia sentir parlare di “ collegio sicuro” e vedervi poste come capolista persone che con quel collegio niente hanno a che fare non può che invogliare all’astensione.
Ma purtroppo questi sistema va bene a tutti gli schieramenti, al di là dei teatrini di comodo, garantendo “il posto” al di là della percentuale di coloro che hanno votato
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Bell’articolo! complimenti