Perché il limite ai mandati danneggia la democrazia
La ricerca scientifica mostra come i limiti ai mandati portano a politiche meno efficaci e a elettori peggio rappresentati.
Ieri la commissione Affari costituzionali del Senato ha bocciato l'emendamento per introdurre un terzo mandato consecutivo per i presidenti di regione. L'obiettivo della Lega sarebbe permettere la ricandidatura di Luca Zaia in Veneto per quello che in realtà sarebbe il quarto mandato (la legge sui due mandati è entrata dopo la fine del primo mandato che quindi non conta).
Ma è giusto applicare un limite al numero di mandati? Non proprio. Vediamo perché.
Cosa dice la ricerca scientifica
L'idea alla base del limite è di impedire la formazione di sistemi di potere incentrati su una persona che sfruttano la creazione di clientele e di reti di influenza. Un'altra idea è che i politici potrebbero essere meno incentivati a prendere decisioni solo per compiacere gli elettori a breve termine e potrebbero invece perseguire obiettivi di lungo periodo.
La scienza però non è così d'accordo. La possibilità di essere rieletti infatti spinge gli amministratori a comportarsi meglio (lavorando di più nell'interesse pubblico, evitando la corruzione e l’inerzia) perché vogliono conquistare di nuovo il voto. Al contrario, se il politico sa che non si ricandiderà, questa spinta motivazionale viene meno spingendo a comportamenti opportunistici.
Uno studio in Brasile del 2011 pubblicato sull'American Economic Review ha analizzato oltre ottomila audit su fondi pubblici comunali scoprendo che nei comuni in cui il sindaco poteva ricandidarsi per un secondo mandato consecutivo si registravano meno irregolarità e abusi rispetto a comuni in cui il sindaco, essendo al secondo mandato, non era più rieleggibile. I sindaci con incentivo alla rielezione hanno dirottato il 27 per cento in meno di risorse pubbliche rispetto ai sindaci senza questo incentivo. Lo studio ha rilevato un risultato ancor più marcato nei contesti con minore trasparenza o minori controlli giudiziari, cosa che suggerisce che l’elezione funge da meccanismo di disciplina quando gli altri controlli scarseggiano.
Uno studio del 1995 pubblicato sul Quarterly Journal of Economics sugli Stati Uniti ha evidenziato che i governatori non più rieleggibili tendevano ad aumentare spesa e tasse più di quelli che dovevano ancora affrontare le urne. L'idea alla base è che un governatore non più preoccupato del consenso potrebbe finanziare programmi clientelari o progetti costosi senza temere reazioni negative, oppure potrebbe fare scelte economiche dure (aumenti di tasse) rimandate precedentemente per motivi elettorali. È vero che la spesa e le tasse non sono necessariamente positive o negative, ma indica un cambio di comportamento legato all'accountability.
Per accountability intendiamo responsabilità di un politico nei confronti degli elettori: il fatto che debba rendere conto delle proprie decisioni a chi lo ha eletto, sapendo che potrà essere premiato o punito alle urne. È uno dei pilastri delle democrazie rappresentative.
Un altro studio sempre sui governatori americani, pubblicato nel 2011 sul Journal of Politics, ha fatto due analisi diverse: i governatori al primo mandato che potevano essere rieletti e quelli che non potevano (gli Stati hanno regole diverse tra di loro) e i governatori al secondo mandato (non rieleggibili) contro governatori al primo mandato non rieleggibili. Lo studio ha scoperto che i governatori che riescono a vincere due elezioni (che quindi hanno maggiore esperienza) ottengono risultati economici nettamente migliori. Tenendo fermo il numero di mandati, gli stati guidati da governatori ancora rieleggibili mostrano performance economiche migliori rispetto a quelli con governatori “a fine corsa”. In sostanza, la competenza accumulata grazie a più mandati e la motivazione elettorale residua producono entrambe benefici tangibili per i cittadini.
Uno studio sui sindaci americani al secondo mandato, del 2010 pubblicato su State & Local Government Review, ha rilevato che i sindaci al secondo mandato tendevano a ridurre le assunzioni di personale e in generale a investire meno in progetti a lungo termine, come in infrastrutture, rispetto ai sindaci che erano al primo mandato che cercavano la rielezione. L'idea alla base è che ci sarebbe una minore spinta a costruire per il futuro quando non si può beneficiare dei risultati.
Allo stesso tempo, uno studio del 2017 su Regional Science and Urban Economics ha analizzato un centinaio di comuni italiani e scoperto che quando il sindaco è eleggibile per un secondo mandato spende di più e riceve più trasferimenti dallo Stato, mentre nel secondo mandato tende a contenere spesa e trasferimenti calano. Questo implica che la presenza del limite di mandato influenza il ciclo di bilancio: con elezioni in vista può esserci uno stimolo a spendere per conquistare consenso, senza elezioni all’orizzonte quel motivo scompare. L'effetto, però, non è omogeneo in tutto il paese. Lo studio mostra che i cicli di bilancio sono molto più marcati nei comuni del Nord Italia. Nei comuni del Sud, invece, questi cicli risultano attenuati o assenti, probabilmente a causa di un contesto istituzionale meno efficace o di minore trasparenza, che riduce l’impatto degli incentivi elettorali.
È anche vero che i politici rieleggibili tengono a essere più efficienti e competenti rispetto a quelli all'ultimo mandato. Lo studio del 2011 sul Journal of Politics evidenziava infatti come l'accountability elettorale migliora la prestazione in senso ampio. L'essere all'ultimo mandato porta anche a una minore attenzione alle richieste dei cittadini in quanto i politici non dovendo essere rieletti non investono tempo nel risolvere piccoli problemi locali. L'accountability non riguarda quindi solo grandi politiche ma anche la capacità di risposta quotidiana ai piccoli problemi.
I politici che non possono ricandidarsi iniziano anche a guardarsi intorno alla ricerca di un nuovo lavoro: o con altre cariche superiori o nel settore privato. Questo può far sì che il sindaco punti a favorire progetti cari al partito nazionale per guadagnarne il favore in vista di una candidatura parlamentare, oppure potrebbe instaurare rapporti privilegiati con aziende private. I politici fanno meno attenzione al bene pubblico per pensare al proprio futuro lavorativo.
Un'interessante conseguenza è anche una possibile minore rappresentazione politica degli elettori. Uno studio del 2020 pubblicato sul Journal of Politics ha analizzato cosa succede nei parlamenti statali americani con dei limiti di mandato e ha scoperto che l’uscita forzata di parlamentari esperti (spesso più pragmatici o moderati col tempo) e l’entrata continua di nuovi politici sostenuti dalle basi di partito porta a una maggiore polarizzazione politica. Considerando che la maggioranza degli elettori tende a essere più moderata dei politici, questo implica che il limite di mandati porta a una peggiore rappresentazione delle preferenze mediane degli elettori.
Un'altra conseguenza meno prevedibile è che mettere un limite ai mandati porta ad avere politici meno competenti, meno specializzati e meno capaci di iniziativa, lasciando campo ai governatori e allo staff amministrativo di influenzare maggiormente l’agenda. Uno studio del 1998 pubblicato sul Legislative Studies Quarterly ha evidenziato che con il limite di mandato si riduce la “professionalità” dell’organo elettivo: i nuovi arrivati hanno conoscenza limitata dei dossier e spesso lasciano ai funzionari la scrittura delle leggi o l’implementazione dettagliata delle politiche. L'obiettivo di eliminare i “politici di professione” rischia di creare una “burocrazia di professione”, ancora più potente e con meno controllo democratico.
Infine, il limite ai mandati non è una cosa così comune. Una ricerca del parlamento israeliano su 35 paesi ha evidenziato che solo cinque nazioni prevedevano limiti ai mandati dei sindaci: Italia, Portogallo, Andorra (tutti i comuni) e, a livello sub-nazionale, Stati Uniti e Svizzera (in cui la scelta è decentrata a stati/cantoni o municipi). La maggior parte delle democrazie europee non ha limiti di mandato per i vertici locali.
Se si teme comunque la creazione di reti di influenza, quello che si dovrebbe fare è aumentare la competitività elettorale andando a semplificare la possibilità che emergano candidati alternativi. Un modo per farlo è ad esempio obbligare i partiti a fare le primarie o adottare sistemi elettorali che favoriscano candidati in grado davvero di ottenere il voto della maggior parte degli elettori.
In conclusione
In conclusione, l’evidenza empirica suggerisce che i limiti ai mandati, pur animati dall’intento di contenere il potere personale e prevenire abusi, finiscono spesso per indebolire alcune delle dinamiche più virtuose della democrazia elettorale. Senza la prospettiva di rielezione, i politici tendono a essere meno motivati a rispondere ai bisogni dei cittadini, meno responsabili e, in alcuni casi, più inclini a comportamenti opportunistici, come la corruzione o il favore verso interessi esterni.
Non solo: il turnover forzato può portare a una minore competenza, a una rappresentanza meno efficace delle preferenze mediane dell’elettorato e a un rafforzamento del peso della burocrazia, sottratta al controllo democratico.
In definitiva, il limite di mandato non è una scorciatoia efficace per migliorare la qualità della politica. Anzi, rischia di produrre l’effetto opposto: una democrazia meno reattiva, meno efficiente e meno rappresentativa.
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E’ sempre un bel dilemma: l’unica soluzione,per non perdere esperienze e competenze, potrebbe essere quella di un sistema elettorale che contempli in tutti i Comuni,grandi e piccoli,l’elezione di una giunta che si presenti alle elezioni univoca, candidato sindaco e candidati consiglieri, che venga eletta con un quorum di maggioranza o con eventuale ballottaggio,senza ricorrere a ad alleanze o a liste miste di rappresentanti dei vari partiti.
In tal modo Sindaco e Consiglieri sono gli unici responsabili e saranno i cittadini nelle successive elezioni a stabilire se confermarli o no. E se avranno fatto bene non ci dovrebbero essere limiti temporali.
Non ho mai capito veramente la ragione del limite ai mandati. Se un governatore o sindaco fa bene il suo lavoro e la popolazione lo continuerebbe a votare per 20 anni dov'è il problema? Se ci fosse una proposta politica alternativa uscirebbe, se ci fossero dei veri problemi clientelari verrebbero al pettine (vedi Toti).
La vedo come una questione paternalistica e quasi contro-democratica.