No, il turismo non è il petrolio italiano
Bassi stipendi, scarsa produttività e imprese troppo piccole, il turismo non traina la crescita: al contrario, rischia di accelerare il declino economico del Paese.
Parlando all’assemblea di Federalberghi, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato di aver “sempre considerato il turismo come uno dei motori trainanti dell’economia italiana”. È una convinzione diffusa, che ciclicamente riemerge sotto forma di slogan: il turismo sarebbe il “petrolio” dell’Italia. Ma i dati economici raccontano una realtà diversa: per quanto rilevante, il turismo italiano non ha né il peso né la redditività necessari per sostenere lo sviluppo economico nazionale. Anzi, nel lungo periodo rischia di contribuire al declino.
Quanto pesa il turismo sul Pil
Per capire il peso del turismo sul prodotto interno lordo si può usare il "conto satellite del turismo", uno strumento statistico che permette di misurare in modo preciso il contributo del turismo all’economia di un Paese.
Gli ultimi dati di Eurostat, aggiornati al 2019, mostrano che il turismo pesa per il 6,2 per cento sul Pil europeo. Si tratta di un dato maggiore rispetto alla media europea del 4,5 per cento e di Francia e Germania al 4 per cento e inferiore al 6,9 per cento della Spagna.
Per fare un confronto, l'industria manifatturiera incide per il 17 per cento sul valore aggiunto, le costruzioni per il 6 per cento e le attività professionali, scientifiche e tecniche per l'11 per cento.
Il 13 per cento spesso citato sul turismo è frutto di un calcolo che tiene condo di tutte le attività dell'indotto, ma come spiega Pagella Politica "qui rientra il contributo di attività economiche che producono beni e servizi non imputabili esclusivamente al turismo".
L'impatto del turismo sull'occupazione
Il turismo impiega molte persone in Italia, ma la qualità e stabilità di questi posti di lavoro è mediamente inferiore ad altri settori. Sono 1,6 milioni di lavoratori italiani a essere occupati nel turismo, circa il 6-7 per cento del totale degli occupati italiani.
I contratti nel turismo sono caratterizzati dalla stagionalità e da stipendi medio-bassi in quanto si tratta spesso di lavoro a bassa specializzazione. Un'ora lorda di lavoro viene pagata in media 16,2 euro e un lavoratore in un anno fa 1.260 ore (31 settimane da 40 ore), mentre nel totale dei servizi la paga oraria è di 27,8 euro con 1.540 ore annuali (39 settimane da 40 ore)1.
Considerando il salario orario e il numero di ore, vediamo che in un anno una persona che lavora nel settore del turismo prenderà il 35 per cento in meno rispetto al totale di chi lavora nei servizi. Non si tratta solo di una differenza salariale, ma di un indicatore strutturale della debolezza economica del settore, che continua a offrire lavoro poco protetto e scarsamente valorizzato.
La produttività del turismo
Se il turismo paga meno i propri lavoratori, è perché genera meno ricchezza di altri settori. Non si tratta di un’anomalia momentanea, ma di una condizione strutturale: il turismo si basa su attività ad alta intensità di lavoro manuale e a basso contenuto tecnologico, come la ristorazione, l’accoglienza e i servizi di intrattenimento. Sono settori difficilmente automatizzabili, in cui non è semplice aumentare l’efficienza o ridurre i costi unitari attraverso l’innovazione.
Secondo Istat, infatti, nel settore alloggio e ristorazione il valore aggiunto per addetto è di circa 24.900 euro e il 56 per cento degli occupati lavora in micro-imprese con meno di dieci dipendenti. Nel totale del commercio e servizi, invece, il valore aggiunto è di 56.600 euro e a lavorare in micro-imprese è il 42 per cento2.
Queste realtà aziendali, spesso a gestione familiare, hanno minore capacità di investimento, difficoltà nell’accedere al credito e una scarsa propensione alla formazione del personale. Sono meno attrezzate per affrontare cicli economici negativi e raramente riescono ad innovare o a espandersi.
Questa debolezza strutturale si riflette nei livelli di investimento. Se si calcolano gli investimenti lordi in beni materiali per addetto, nel turismo la media è di 3.100 euro per occupato, meno della metà rispetto ai 7.560 euro registrati in media nel settore dei servizi. Settori che investono poco tendono a restare fermi in termini di innovazione, produttività e qualità del lavoro3.
Il turismo non fa crescere l'economia
Uno studio della Banca d’Italia ha analizzato il legame tra turismo e crescita economica locale tra il 1997 e il 2014. I ricercatori hanno analizzatose i territori più esposti al turismo all’inizio del periodo – misurato tramite la spesa dei turisti stranieri pro capite – abbiano poi sperimentato una crescita economica superiore rispetto ad altri. I risultati? Il legame esiste, ma è più debole di quanto si potrebbe pensare.
In media, un aumento del 10 per cento nella spesa turistica iniziale per abitante comporta una crescita cumulata del valore aggiunto pro capite di circa 0,2 punti percentuali nell’arco di dieci anni. In termini pratici: un euro in più di spesa turistica genera, nell’arco di un decennio, una crescita del valore aggiunto locale inferiore a due euro. Si tratta di un impatto positivo, ma decisamente contenuto.
Lo studio evidenzia forti differenze territoriali. Nel Mezzogiorno, dove il turismo parte da livelli più bassi e l’economia locale ha maggiore capacità inutilizzata, l’effetto positivo è più marcato: la stessa crescita del 10 per cento nella spesa turistica genera qui un incremento di 0,47 punti percentuali. Al contrario, nel Centro-Nord l’effetto si riduce a 0,15 punti percentuali. In altre parole, il turismo dà una spinta maggiore dove c'è più spazio per crescere, ma il suo potenziale si attenua nei territori già saturi.
Un altro risultato interessante riguarda le dinamiche di congestione: nelle province dove il turismo era già molto intenso all’inizio del periodo (come Venezia, Firenze o Roma), ulteriori aumenti nella spesa turistica non si traducono in una maggiore crescita economica. Anzi, i rendimenti marginali diventano decrescenti: il turismo può creare pressione su infrastrutture, mercato immobiliare e qualità della vita, con effetti che compensano o addirittura annullano i benefici economici.
Come scrivono gli autori, "nel complesso, possiamo dire che il turismo ha un impatto importante sullo sviluppo locale in alcune aree, ma non andrebbe sopravvalutato”. Anche se il turismo dovesse espandersi considerevolmente, l’effetto sul benessere economico complessivo rimarrebbe limitato.
In conclusione
L’incidenza limitata sul Pil, la frammentazione dell’occupazione, la bassa produttività e i bassi salari, insieme ai rendimenti decrescenti che il settore mostra oltre certe soglie, indicano chiaramente che il turismo non può rappresentare né il motore né tanto meno il “petrolio” dell’economia italiana. Un modello di sviluppo incentrato sul turismo finirebbe per consolidare una traiettoria di crescita debole, fondata su lavoro poco qualificato e scarsamente retribuito.
Più che spingere la crescita, il turismo rischia di ostacolarla, contribuendo ad accelerare il lento declino in atto. L’Italia, insieme alla Grecia, è l’unico Paese europeo a non aver registrato crescita economica reale negli ultimi vent’anni, e i salari restano fermi da decenni. Uscire da questa stagnazione richiederebbe una visione orientata allo sviluppo, capace di superare la dipendenza dalle rendite e di puntare su settori ad alta produttività. Ma una visione politica di questo tipo è da tempo assente dal dibattito dei principali partiti.
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Questi dati tengono conto solo dei dipendenti diretti che sono il 75 per cento degli occupati totali del settore. Per calcolare il salario orario, ho diviso la voce "Salari e stipendi (migliaia di euro)" per "Ore lavorate dai dipendenti (migliaia)", mentre per la media oraria la voce "Ore lavorate dai dipendenti (migliaia)" per "Lavoratori dipendenti".
Il valore aggiunto lo si può calcolare prendendo la voce "Valore aggiunto al costo dei fattori (migliaia di euro)" e dividendola per "Occupati".
Per calcolare gli investimenti, ho diviso "Investimenti lordi in beni materiali (migliaia di euro)" per "Occupati"
Complimenti, bel contributo
“A naso” non avrei mai pensato a un contributo così basso al PIL. Leggendo delle strutture e della struttura del turismo italico ben si capiscono i motivi di tale basso rendimento.