Quando l’immigrazione sposta voti: così cresce (o cala) l’estrema destra
Un esperimento mostra che AfD in Germania cresce solo finché la CDU resta più a sinistra degli elettori sull’immigrazione.
Negli ultimi anni molti studi hanno provato a spiegare il successo dei populisti. Protesta contro le élite, paura della globalizzazione, crisi economiche, sfiducia nelle istituzioni. Ma come abbiamo visto qualche settimana fa, un nuovo studio aveva proposto una chiave diversa: i partiti di estrema destra prosperano perché colmano un vuoto di rappresentanza sui temi culturali.
Ora Laurenz Guenther, economista alla Toulouse School of Economics, in un nuovo studio, scritto con Salvatore Nunnari della Bocconi, mette questa tesi alla prova in modo diretto. Lo studio, analizzando le elezioni federali tedesche del febbraio 2025, sfrutta un esperimento su cinquemila cittadini tedeschi. L’idea è semplice: manipolare la percezione della posizione della centrodestra (CDU) sull’immigrazione, un tema in cui i cittadini risultano molto più duri dei partiti tradizionali, e misurare come cambia il consenso all’estrema destra di AfD.
Ma come si fa? Ai partecipanti è stato chiesto quale fosse la loro opinione sull’immigrazione, da “molto aperta” a “molto chiusa”. Poi gli studiosi hanno mostrato, in maniera casuale, diverse informazioni sulla posizione della CDU. Ad alcuni è stato detto che i candidati del partito erano piuttosto liberali, ad altri che erano molto più severi sugli ingressi. In questo modo, senza cambiare davvero il programma della CDU, si è modificata la percezione che gli elettori avevano della sua linea e gli si chiedeva poi per chi avrebbero votato.
Il risultato è netto. Quando gli elettori percepiscono la CDU più vicina alle loro preferenze conservatrici, il sostegno a AfD cala sensibilmente. Viceversa, se la CDU appare più liberale, il divario di rappresentanza si allarga e AfD cresce. Le stime degli autori suggeriscono che se la CDU adottasse la stessa posizione del AfD sull’immigrazione, quest’ultima perderebbe fino al 75 per cento dei suoi voti, scendendo dal 20,8 per cento ottenuto nel 2025 a circa il 5 per cento.
Il contesto era particolarmente favorevole all’esperimento: nelle settimane precedenti alle elezioni del febbraio 2025 la CDU, guidata da Friedrich Merz, dava segnali contrastanti sulla linea da tenere sull’immigrazione. Questa ambiguità ha reso gli elettori più reattivi alle informazioni ricevute, permettendo ai ricercatori di osservare con chiarezza gli effetti.
Il dato è importante perché mette in discussione due spiegazioni alternative. La prima, la cosiddetta “teoria della legittimazione”, sostiene che quando i partiti tradizionali si spostano a destra finiscono per normalizzare le posizioni radicali, rafforzando i populisti. La seconda, la “teoria del voto di protesta”, vede il consenso a AfD come pura espressione di malcontento, indipendente dalle politiche concrete. L’esperimento mostra invece che il voto populista non è un gesto irrazionale o puramente emotivo: dipende in larga misura dal posizionamento dei partiti sul terreno delle politiche.
Rispetto al primo studio di Guenther, che aveva documentato un divario sistematico tra cittadini e parlamentari in ventisette paesi europei, questa volta la prova è causale. Non si tratta solo di osservare che gli elettori sono più conservatori dei deputati sui temi culturali: si dimostra che ridurre o ampliare questo divario cambia direttamente i comportamenti di voto.
Un altro aspetto rilevante è l’asimmetria degli effetti. Quando la CDU si avvicina agli elettori, guadagna qualcosa, ma AfD perde molto di più. In altre parole, chiudere il gap non porta solo benefici moderati al partito tradizionale: soprattutto sottrae ossigeno alla destra radicale, che si nutre di quella distanza di rappresentanza.
Gli autori simulano anche scenari elettorali controfattuali. Un lieve spostamento a destra della CDU ridurrebbe di quasi 5 punti AfD, riportando voti verso i partiti mainstream. Se la CDU fosse percepita sullo stesso livello restrittivo del AfD, la destra radicale scivolerebbe vicino alla soglia di sbarramento, restituendo al sistema una configurazione simile a quella pre-crisi dei rifugiati del 2015.
La conclusione è chiara: l’ascesa del populismo non si spiega soltanto con paure diffuse o con la retorica anti-élite. Conta soprattutto lo spazio che i partiti tradizionali lasciano aperto. Se elettori e partiti divergono troppo su questioni salienti, come immigrazione, identità o Europa, i populisti trovano terreno fertile. Ma se questo spazio viene chiuso, il loro consenso si ridimensiona rapidamente.
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