I voti della maturità dicono davvero qualcosa?
Tanti 100 e lode, voti in aumento rispetto al passato e forti differenze tra scuole e regioni
Oggi comincia l’esame di maturità per gli studenti delle scuole superiori. È spesso raccontato come uno spartiacque decisivo, ma i dati suggeriscono una realtà più sfumata: quasi tutti gli studenti vengono ammessi, lo superano e lo fanno con voti piuttosto alti. Soprattutto nei licei e in alcune regioni, il diploma con alti voti è la norma più che l’eccezione.
Com’è cambiata la distribuzione dei voti negli ultimi anni?
Nel 2024 il 9,8 per cento1 degli studenti ha ottenuto 100 o 100 e lode, mentre l’11,2 per cento si è diplomato con un punteggio tra 91 e 99. Il 17,7 per cento ha preso tra 81 e 90, il 29,4 per cento tra 71 e 80, e il 31,9 per cento si è fermato tra 60 e 70, il minimo per superare l’esame. In tutto, oltre 12.700 studenti hanno ricevuto la lode.
La distribuzione dei voti sta lentamente tornando ai livelli pre-pandemia, ma resta ancora generosa rispetto al passato. Nel 2021, in pieno effetto Covid, il 16,5 per cento degli studenti aveva ottenuto il massimo dei voti e solo il 23,3 per cento si era fermato nella fascia più bassa (60–70). Anche prima della pandemia, tra il 2014 e il 2019, si osservava comunque un trend graduale di crescita dei voti alti.
Non tutti i voti di maturità sono uguali: contano molto il tipo di scuola
Ottenere un voto alto in un liceo, soprattutto classico o scientifico, è statisticamente molto più probabile che in un istituto tecnico o professionale. Nel 2024, uno studente su cinque del liceo classico (20,4 per cento) ha ottenuto 100 o 100 e lode. Un altro 17,2 per cento si è diplomato con un voto tra 91 e 99, e il 21,7 per cento tra 81 e 90.
Nei licei scientifici le percentuali sono leggermente più basse, ma restano elevate: il 15,8 per cento ha preso il massimo dei voti, il 14,8 per cento è nella fascia 91–99, e il 20,2 per cento tra 81 e 90.
Nel complesso, nei licei il 13 per cento degli studenti arriva a 100 o 100 e lode. La percentuale si dimezza nei tecnici (7 per cento) e si riduce ancora nei professionali (4,7 per cento). All’estremo opposto della classifica, i voti minimi (tra 60 e 70) riguardano il 24,5 per cento degli studenti liceali, ma salgono al 39,4 per cento nei tecnici e al 41,2 per cento nei professionali.
Anche tra le regioni italiane, le differenze nei voti di maturità sono marcate.
Quel 9,8 per cento di studenti con 100 o 100 e lode a livello nazionale nasconde squilibri profondi: in Calabria, quasi uno studente su cinque (17,8 per cento) esce con il voto massimo, mentre in Valle d’Aosta appena il 3,9 per cento. Percentuali a doppia cifra si registrano anche in Puglia (15 per cento), Sicilia (14 per cento), Campania (12,9 per cento), Umbria (12,2 per cento), Abruzzo (10,7 per cento), Marche, Basilicata e Molise (tutte all’11 per cento).
All’estremo opposto troviamo quasi tutte le regioni del Nord. In Lombardia è il 5,4 per cento a ottenere il massimo dei voti, in Veneto il 6,4 per cento, in Trentino-Alto Adige il 6,5 per cento, in Piemonte il 6,9 per cento. Friuli-Venezia Giulia, Liguria ed Emilia-Romagna oscillano tra il 7 e l’8 per cento, mentre il Lazio si attesta al 9,2 per cento.
Il problema non è solo statistico
È difficile credere che le differenze riflettano reali divari nelle competenze. Anzi, quando si osservano i risultati di test standardizzati come Invalsi o Pisa, che misurano in modo uniforme le abilità degli studenti, lo schema si inverte: le regioni del Nord ottengono risultati migliori, quelle del Sud peggiori.
I test standardizzati non sono perfetti, ma sono oggi il miglior strumento per confrontare sistemi scolastici diversi. Se invece i voti della maturità variano così tanto a seconda della scuola o della regione, diventano poco più che un esercizio autoreferenziale. Non servono a selezionare, non aiutano a orientare.
Un motivo in più per mettere in discussione un esame ormai anacronistico. La maturità arriva dopo cinque anni di interrogazioni, verifiche, compiti in classe e scrutini. Gli studenti sono già stati ampiamente valutati. Il voto finale potrebbe semplicemente basarsi sulla media degli ultimi tre anni, come già accade in parte oggi. Invece di investire mesi nella sua preparazione, le scuole potrebbero usare quel tempo per offrire un vero orientamento universitario o professionale. Sarebbe un passo avanti per studenti e famiglie.
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